lunedì 19 aprile 2010

Fumata bianca al circolo UAAR di Bari


Pochi giorni fa (venerdì 16 aprile 2010) il circolo UAAR di Bari "Ipazia di Alessandria" (che qualcuno avrebbe intitolato volentieri a "Mazinga Zeta", tanto per lui sarebbe stato uguale) si è riunito in assemblea per eleggere il nuovo coordinatore, essendo il posto vacante dopo la mia espulsione dalla CDA (Chiesa Degli Atei, detta anche UAAR).

La scelta dei soci presenti è caduta su Rafael La Perna, che è stato tra i protagonisti dell'attacco sferratomi dall'interno del circolo contemporaneamente all'offensiva lanciata contro il sottoscritto dalla dirigenza nazionale, con una manovra a tenaglia che si è conclusa con la scomunica dell'eretico di turno. Rafael, infatti, è tra i firmatari della mozione di sfiducia che fu inviata alla coordinatrice dei circoli , Anna Bucci, poche settimane dopo la mia rielezione a coordinatore per il 2010. Ma di questo avremo modo di parlare nel corso della ricostruzione a puntate della telenovela.

Conoscendolo, credo proprio che Rafael sia più adatto di me a rappresentare i soci - superstiti - del disastrato circolo di Bari, per lo meno la componente che ha deciso di dare una mano all'oligarchia al potere nella CDA nella condanna al rogo di un coordinatore che, pur avendo reso vitale un circolo prima dormiente ed organizzato molte ed importanti iniziative nel corso del 2009, si era reso colpevole dei peccati mortali di lesa maestà, eresia, stregoneria e disobbedienza agli ordini dei superiori gerarchici.

Auguri, Rafael!

domenica 11 aprile 2010

Le ragioni di un'espulsione - 2


Riprendiamo la narrazione dell'antefatto.

Dalla lettura delle mail che si succedono sulla "lista circoli", apprendo che sull'argomento "intitolazione dei circoli" si è già tenuta - poco tempo prima - una discussione sulla "lista uaar" (accessibile a tutti i soci che abbiano effettuato la procedura di iscrizione), per ragioni che ignoro, essendo io iscritto solo alla prima. In quella sede, la discussione è stata rinviata all'imminente assemblea annuale dei coordinatori di circolo, fissata per i primi di novembre a Rimini (come da tradizione). Mi viene più volte rimproverato, da alcuni partecipanti al dibattito da me suscitato, di aver effettuato un colpo di mano, anticipando una decisione senza aver atteso il pronunciamento dell'assemblea, e a nulla serve ricordare ogni volta che non potevo essere al corrente della suddetta discussione non essendo iscritto alla lista uaar, mentre sulla lista circoli l'argomento non era stato toccato. Ma, com'è noto, a lavare la testa al ciuccio si perde il tempo, l'acqua e il sapone...

A Rimini il dibattito è acceso e serrato. Io ripropongo le ragioni a sostegno della decisione unanime del circolo di Bari e faccio presente che un eventuale rifiuto potrebbe indurre diversi soci a dimettersi, a cominciare dal sottoscritto. Preciso che non si tratta di un discorso ricattatorio (anche se alcuni dei presenti lo recepiscono come tale), ma solo della doverosa segnalazione di un malessere che da tempo serpeggia tra i soci del circolo da me coordinato, dovuto anche ai miei resoconti sui fatti accaduti nei mesi precedenti (sinteticamente elencati nel post "Risposta a Fabio Milito Pagliara - 2"). Per quanto mi riguarda, faccio presente che avrei grosse difficoltà a continuare a far parte di un'associazione nella quale una splendida proposta come la nostra dovesse venir respinta con aride motivazioni burocratiche (delle quali, inoltre, non si coglie la ratio) e con il mancato rilascio di ridicole patenti di laicità a millenni di distanza (come ha giustamente rilevato, con l'acume che lo contraddistingue, il caro Giacomo Grippa, l'altro eretico espulso dall'UAAR in quanto - anche lui - libero pensatore).

Il dibattito viene chiuso da un intervento del segretario, Raffaele Carcano, che propone - questa volta saggiamente - una moratoria: i circoli già in possesso di un'intitolazione (Roma e Lecce già da tempo, ed ora anche Bari) potranno conservarla fino al prossimo congresso nazionale, previsto per l'autunno del 2010, mentre eventuali nuove richieste verranno respinte fino ad allora. Poi, a seconda delle modifiche statutarie adottate dal congresso, tutti i circoli potranno scegliersi un'intitolazione o, in caso contrario, spariranno anche quelle già adottate.

E' chiaro che, con un Comitato Centrale (!) interamente e convintamente orientato ad evitarle, anche le tre intitolazioni in vigore avrebbero avuto i mesi contati. Comunque, per quanto effimero, il risultato ottenuto è una vittoria, e, appena rientrato a Bari, lo comunico ai soci del circolo con un messaggio intitolato "CE L'ABBIAMO FATTA (PER ORA)!".

In questa mail riporto un resoconto dell'assemblea di Rimini, completa di retroscena (come la solidarietà e l'affinità di vedute manifestatemi da alcuni fra coordinatori e referenti provinciali) e di giudizi sugli interventi idioti di alcune delle solite pecore che debbono seguire a tutti i costi i loro capi, anche quando la loro fedeltà li porta ben oltre i limiti imposti dalla decenza e dalla salvaguardia della dignità personale. Il tono è ironico e colloquiale, nello stile con il quale mi sono sempre rivolto ai soci del circolo, grazie anche alla splendida atmosfera - assolutamente informale - di collaborazione ed amicizia che ha sempre caratterizzato i nostri rapporti, tanto da vivere la partecipazione alle riunioni ed alle iniziative con il senso di appartenenza ad una "grande famiglia" (espressione usata da diversi soci entusiasti). C'è stato qualche piccolo incidente di percorso in precedenza, ma credo sia fisiologico in un circolo che, nel frattempo, è cresciuto fino ad arrivare a 66 unità.

L'unico momento di tensione degno di nota, peraltro relativa, si è verificato nell'aprile del 2009, pochi giorni prima del nostro Darwin Day. Avevamo deciso, come molti altri circoli, di promuovere una raccolta di firme per una petizione da presentare al Sindaco di Bari relativa all'intitolazione di una strada a Charles Robert Darwin. La raccolta di firme sarebbe stata annunciata proprio al Darwin Day, anche perché il periodo era propizio: ci trovavamo infatti in piena campagna elettorale per le elezioni amministrative, quando generalmente i candidati sindaci sono più propensi a rispondere ad iniziative del genere. Subito dopo la fine dell'ultima riunione prima dell'evento, tenutasi una settimana prima di esso, un socio, E.R., mi ha però ricordato che a Bari esiste una strada intitolata al famigerato Nicola Pende, l'endocrinologo ed accademico pugliese autore e primo firmatario del "Manifesto della razza" del 1938, nel quale si afferma - con motivazioni pseudoscientifiche - che gli Ebrei non appartengono alla razza italiana (!), fornendo così al regime fascista il pretesto per emanare, pochi mesi dopo, le leggi razziali, una vergogna per la quale le scuse degli Italiani agli Ebrei ed al mondo intero non saranno mai abbastanza; infatti, la persecuzione che ne scaturì culminò con le deportazioni dei cittadini italiani di religione ebraica nei campi di sterminio nazisti. Io ho colto al volo il suggerimento implicito nell'informazione del socio: si presentava una grande occasione per chiedere non solo l'intitolazione di una strada barese a Darwin, ma anche per la sostituzione del nome di Pende con quello di Darwin, di uno scienziato vile, infame e fasullo con un grande ed autentico scienziato. Nei giorni seguenti ho inviato una mail ai soci per informarli della novità, ma con mia grande sorpresa - ed indignazione - diversi di loro si sono opposti con motivazioni assurde, inconsistenti ed incomprensibili. Io credo che il motivo di fondo fosse il timore di creare problemi all'uno o all'altro candidato alla carica di Sindaco, preoccupazione che era però in piena violazione dello statuto dell'UAAR che definisce l'associazione "apartitica". Alcuni di coloro che inizialmente si erano dichiarati a favore, hanno ritirato la loro adesione nel vedere svariati soci opporsi con forza all'iniziativa. Ciononostante, fra coloro che avevano risposto alla consultazione telematica il numero dei favorevoli è risultato identico a quello dei contrari, e grazie al mio voto favorevole la maggioranza - per quanto risicata - si è espressa positivamente. Per tener conto di ciò, ho deciso di presentare due petizioni distinte, in modo che tutti potessero firmare a favore di Darwin senza per questo dover necessariamente esprimersi anche contro via Pende, ma la delusione è stata atroce, e mi ha costretto a ridimensionare l'idea che mi ero fatto della statura morale ed intellettuale di diversi soci.

Subito dopo l'invio del mio resoconto sull'assemblea di Rimini, tre soci di Bari inviano una mail agli altri soci locali ed all'antipapa Carcano - primo della lista dei destinatari - dissociandosi "dai toni e dalle parole usate" dal sottoscritto. Va evidenziato che: i) due di essi (D.C. e N.T.) furono fra i primi ad opporsi all'iniziativa per il cambio di denominazione di via Pende, e dal Darwin Day (tenutosi parecchi mesi prima) avevano smesso di essere soci attivi del circolo; ii) il terzo (A.D.), iscrittosi all'UAAR proprio in occasione del Darwin Day, aveva manifestato sin dall'inizio un atteggiamento ipercritico ed immotivatamente aggressivo nei miei confronti; iii) tutti e tre, essendo soci inattivi, non si erano espressi né a favore né contro l'intitolazione del circolo ad Ipazia, né avevano lanciato segnali di dissenso quando io informavo i soci dei miei contrasti con i vertici UAAR.

La mia risposta è immediata ed indignata, di fronte a quella che non esito a definire una porcata: quelle mail sono scritte con evidente malafede con l'intento di mettermi in difficoltà in un momento di per sé già molto delicato, e di cercare di stabilire un'alleanza con una dirigenza nazionale a me ostile per i problemi che, nello svolgimento del mio incarico, le avevo creato. Non ho problemi a riconoscere ad ogni socio il diritto di rivolgersi al segretario, se il comportamento del coordinatore gli appare scorretto, ma i suddetti gentiluomini non avevano neppure chiesto un chiarimento interno (che non avrei avuto difficoltà a concedergli), prima di scomodare il "grande capo". Il quale, a sua volta, non perde l'occasione che gli viene offerta e prende subito le parti dei contestatori, sia con le mail spedite ai soci baresi, sia con quelle inviate sulle liste nazionali, dove si scatena un nuovo linciaggio morale contro di me.

Vale la pena ricordare che il socio barese D.C., in una mail interna al circolo nell'ambito del dibattito scaturito dalla brillante iniziativa sua e dei suoi due degni compari, scrive - senza vergognarsene neanche un po' - la seguente frase: "Sulla questione di intitolare il circolo ad Ipazia non ho proferito parola perché è un argomento che non mi entusiasma molto ed anche perché in generale sono concorde, ma non particolarmente interessato: per quanto mi riguarda il circolo potrebbe essere intitolato anche a Mazinga-Zeta!".

Ogni commento è superfluo. Il bello di avversari del genere è che non c'è alcun bisogno di screditarli: provvedono a farlo da soli, ed in modo assai più efficace. E' sufficiente lasciarli agire e parlare, al resto provvederà la loro stessa natura.

E sono persone di questo livello che la dirigenza nazionale dell'UAAR sceglie come alleate nel tentativo di mettere in difficoltà coordinatori "scomodi". Evidentemente intelligenza, creatività e cultura non sono qualità ritenute importanti dai membri del CC; ciò che conta davvero è la fedeltà ai gerarchi, e, come dice Silvano Vergoli (anch'egli del CC), "cantare nel coro in armonia con le altre voci". Mi dispiace, Silvano, ma il ruolo di voce bianca non mi è mai stato congeniale.

"E agli atei 80 mila euro"


E' questo il titolo di un trafiletto pubblicato sul numero 14 (8 aprile 2010) de "L'Espresso", a pag. 26. La notizia riportata è che quest'anno l'UAAR, per la prima volta, potrà incassare i contributi del 5 per mille, per un ammontare di "circa 80 mila euro provenienti dalle dichiarazioni espresse da 1.152 contribuenti".

L'UAAR può usufruire del 5 per mille essendo un'Associazione di Promozione Sociale (APS), e come tale, ai sensi della legge 383/2000, non deve avere finalità di lucro (e fin qui ci siamo) e deve svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o terzi nel pieno rispetto della dignità e della libertà degli associati.

L'UAAR risponde a quest'ultimo requisito? I frequentatori di questo blog potranno valutarlo da soli, proseguendo l'istruttiva lettura della cronaca della mia espulsione.

lunedì 5 aprile 2010

Le ragioni di un'espulsione - 1

E' giunto il momento di spiegare in dettaglio ai miei lettori (to the happy few) le ragioni per le quali considero la mia espulsione dall'UAAR un atto di persecuzione contro un eretico, l'epurazione di un dissidente degna dell'URSS ai tempi di Stalin.

E' un atto dovuto, sia per argomentare le mie critiche, sia per rispondere in modo appropriato ai dirigenti UAAR ed ai loro devoti sostenitori che mi accusano di aver finora volutamente omesso le motivazioni alla base del pronunciamento dei viri-tutt'altro-che-probi.

Cari pastori e pecore dell'UAAR, visto che insistete tanto, ecco le prove di quanto sostengo. Quelle che conoscete benissimo, ma fingete di ignorare. Sono curioso di sapere, ad esposizione conclusa, come farete a sostenere ancora le vostre effimere ragioni.

ANTEFATTO

Lo scorso autunno, su proposta di un giovane socio del circolo provinciale di Bari dell'UAAR, M.L., da me subito accolta e rilanciata, i soci del circolo, dopo una consultazione telematica ed una riunione, decidono all'unanimità di intitolare il circolo stesso ad Ipazia di Alessandria. Il giorno 21 ottobre 2009 invio alla lista dei coordinatori di circolo ("lista circoli") una mail nella quale comunico la grande notizia, con l'ingenua convinzione - subito rivelatasi infondata - che essa sarebbe stata accolta con entusiasmo e che avrebbe suscitato una valanga di congratulazioni ed auguri.

Con mia profonda amarezza e delusione, comincio subito a ricevere una serie di risposte - sia di semplici soci, sia di membri del Comitato Centrale (mannaggia, sbaglio sempre: volevo dire Comitato di Coordinamento, d'ora in poi "CC") dell'UAAR - che oppongono all'iniziativa barese una serie di obiezioni e di perplessità tali da far cadere le braccia anche alla persona più paziente e comprensiva del mondo.

Ciò che colpisce, più d'ogni altra cosa, è lo stridente contrasto fra la grandezza del personaggio di Ipazia e l'infimo livello delle argomentazioni di tipo partitico-burocratico che vengono opposte alla nostra iniziativa. Ma, dato che non c'è limite al peggio, il gregge dell'UAAR passa rapidamente alla fase due dell'operazione: un volgare tentativo di ridimensionamento della figura di Ipazia, nel tentativo di convincermi che, in fondo, non era poi questo gran personaggio che ci vorrebbero far credere. A tale ridimensionamento fa da corollario il giudizio svalutativo che molti esprimono sull'iniziativa in se stessa, che viene considerata ininfluente e masturbatoria in confronto alle "grandi battaglie" che l'UAAR dovrebbe sostenere.

La mia indignazione raggiunge livelli inimmaginabili, e non solo per l'ignoranza dimostrata dai detrattori di Ipazia, che non si sono neppure preoccupati di documentarsi prima di parlare, ma, più in generale, per la grettezza, l'aridità e l'infimo livello intellettuale dimostrati da persone che appaiono più preoccupate di citare le virgole dello statuto e di non contrariare i membri del CC piuttosto che di rendere ad Ipazia - grande martire del libero pensiero ed antesignana della moderna scienza sperimentale - il riconoscimento e la gratitudine che le spettano.

Credo che qui si renda opportuna una momentanea interruzione della narrazione per citare lo splendido "Dopo Nietzsche" di Giorgio Colli (Adelphi Edizioni). A pagina 65 si legge: "Nel cinismo c'è del veleno, dell'impotenza, della vendetta. (...) Il cinismo ritorna ciclicamente, in occasione di crisi profonde, e con manifestazioni analoghe: un razionalismo dozzinale, plebeo, è il suo strumento, una spudoratezza esibizionistica è la sua forma, lo scherno per il passato e per i miti, la rottura delle tradizioni sono i suoi temi. (...) Il cinismo dà un'illusione di superiorità ai frustrati, e la sfrontatezza 'canina' deve far colpo sul pubblico". A pagina 67 troviamo, invece, le seguenti frasi: "Il contrario del cinismo è la venerazione. (...) Di fronte a ogni grandezza si risveglia in certi individui un senso di riconoscenza, si è pronti a ricevere e si è grati di ricevere. Chi non ha questa natura rifiuta d'istinto ciò che è grande, lo allontana da sé, ne spia i punti deboli. (...) Il discorso sulla venerazione è esoterico, e non a torto Nietzsche afferma che le nature nobili, le quali non sanno vivere senza venerazione, sono rare".

Non esiste miglior commento di queste parole al triste spettacolo offerto dalla maggioranza degli intervenuti sulla lista circoli dopo il mio annuncio. In particolare, credo che la definizione data da Carcano di Ipazia come "credente neoplatonica irrazionale" costituisca il miglior esempio di quel "razionalismo dozzinale e plebeo" di cui parla Giorgio Colli.

E, con queste considerazioni, possiamo degnamente concludere la prima parte del presente resoconto.

venerdì 2 aprile 2010

Disobbedienza

Questa volta non parlerò dell'UAAR, ma del Papa e della Chiesa (ai quali, comunque, l'UAAR ed il suo Segretario si stanno conformando in modo impressionante). In particolare, parlerò di una recente predica del Pontefice nella quale ha invitato i cristiani a disobbedire alle leggi dello Stato quando queste sono considerate "ingiuste" dalla Chiesa, come "l'uccisione di bambini innocenti non ancora nati".

Sarebbe contraddittorio, da parte mia, negare al Papa ed ai suoi seguaci il diritto di esprimere liberamente il loro pensiero, ma il discorso di Ratzinger va ben oltre tale espressione. Si tratta di un'evidente esortazione, da parte di un Capo di Stato, a violare le leggi di altri Stati. Ciò è particolarmente grave nei confronti dello Stato italiano, poiché costituisce una violazione di quel Concordato dal quale derivano immensi privilegi e vertiginose elargizioni di denaro pubblico a favore del Vaticano. Inoltre, se un comportamento del genere viene considerato legittimo, si legittimano di conseguenza anche i rappresentanti di altre religioni ad invitare i fedeli a violare le leggi statali.

Molti laicisti affermano pubblicamente di non nutrire risentimento nei confronti della Chiesa e delle esternazioni dei suoi rappresentanti, ma di essere piuttosto indignati per il comportamento di una classe politica che è sempre pronta a genuflettersi dinanzi ai gerarchi d'Oltretevere. Non sono d'accordo. Il Papa dovrebbe rivolgersi alle coscienze dei fedeli, esortandoli a non compiere - in prima persona - atti contrari agli insegnamenti della Chiesa. Il Papa ha tutto il diritto di dire: "Ti dichiari cattolico? Allora non devi divorziare, abortire, avere rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, ecc. ecc.". Non ha però il diritto di esortare i cittadini italiani a violare le leggi dello Stato, così come non può cercare di imporre anche ai non cattolici - cristiani protestanti e dissidenti, eterocredenti e non credenti - i suoi divieti, poiché non è in grado di dimostrare scientificamente che: i) Dio esiste; ii) se esiste, è proprio quello di cui parla la Chiesa, e che la Chiesa afferma di rappresentare in terra; iii) se esiste, ed è proprio quello di cui parla la Chiesa, la sua volontà coincide con quei divieti.

C'è molta violenza, molta sopraffazione in questi tentativi di imposizione dei propri precetti, tipici tutte le religioni basate su presunte - ed indimostrabili - verità rivelate. E nessun rispetto per il pensiero degli individui, credenti compresi.

Tutte le persone sensate considerano sbagliata l'uccisione di un essere vivente, anche se spesso è inevitabile (per nutrirsene, o per legittima difesa, o altri motivi), ma i punti di vista cominciano a divergere quando bisogna stabilire, ad esempio, se sia lecito rispettare la volontà dell'essere stesso quando sceglie di porre fine alla sua esistenza e non può farlo autonomamente, o se un ammasso informe di cellule privo di un sistema nervoso possa essere già considerato una persona. La Chiesa, come qualsiasi altro soggetto, dovrebbe rispettare la volontà di chi non si riconosce nei suoi insegnamenti, limitandosi a pretendere l'obbedienza dei suoi seguaci, poiché chi fonda la propria morale su dogmi e presupposti non dimostrabili non può pretendere obbedienza anche da parte di chi non le riconosce alcuna autorità morale. Ed uno Stato degno di questo nome dovrebbe abolire un Concordato che viene sistematicamente violato da una delle parti contraenti.

Non si può pretendere che una Chiesa che ha massacrato Ipazia di Alessandria e bruciato Giordano Bruno (per tacere di tutto il resto) possa sviluppare da sola l'auspicata apertura verso il libero pensiero, ma sarebbe sacro dovere delle istituzioni pubbliche porre un argine ai suoi continui tentativi di sopraffazione. Anche perché, nonostante le tante scuse presentate dai Pontefici per gli errori commessi in passato (nel caso di Galileo hanno impiegato solo tre secoli e mezzo per rendersi conto di aver sbagliato), essi continuano imperterriti a commetterli. Sempre gli stessi.

martedì 30 marzo 2010

Il film su Ipazia sta per uscire in Italia!!!


Finalmente! Con forte ritardo rispetto alla Spagna, sta per uscire in Italia (il 23 aprile) il film "Agorà", del grande regista spagnolo Alejandro Amenábar, sulla vita (e la tragica morte) di Ipazia, la grande scienziata e filosofa vissuta tra il IV ed il V secolo ad Alessandria d'Egitto, fatta a pezzi da un gruppo di monaci assassini perché era una donna che osava occuparsi di scienza e perché si era rifiutata di convertirsi al Cristianesimo.
Il ritardo è dovuto alla protratta ed apparentemente inspiegabile riluttanza delle società distributrici ad acquistare i diritti del film per l'Italia. Non sono un fanatico della dietrologia, ma è innegabile che la storia di Ipazia, che mostra il vero volto del Cristianesimo delle origini, possa dar fastidio a molte persone, e non è difficile immaginare che le gerarchie vaticane possano tentare di tenerla nascosta in tutti i modi possibili, e, insieme a loro, tutti coloro che ad esse sono in qualche modo legati.
Quando abbiamo organizzato, come circolo UAAR di Bari (intitolato proprio ad Ipazia), la conferenza di Adriano Petta (coautore del grande e documentatissimo romanzo storico "Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo", La Lepre Edizioni, con prefazione di Marherita Hack), ho inviato più volte ai giornali, televisioni e siti internet locali un comunicato stampa per informarli dell'evento, ma nessuno ne ha dato notizia, ed hanno purtroppo partecipato solo trenta persone, all'incirca. Peccato, perché la conferenza è stata interessantissima, e la lettura di alcuni brani del libro da parte della giovane e brava attrice Enza Molinari l'ha resa ancor più avvincente. Sembra che la figura di Ipazia faccia ancora paura, e non solo alla Chiesa. Pertanto, la visione del film è un atto dovuto per tutti coloro che la ammirano e che non vogliono che la sua vita luminosa ed il suo martirio vengano dimenticati, e, più in generale, lo è per tutti coloro che considerano la libertà di pensiero ed espressione un diritto umano fondamentale.
L'uscita del film servirà anche a ricordare ai dirigenti nazionali dell'UAAR ed al loro gregge che dovranno vergognarsi per sempre per essersi opposti all'intitolazione del circolo UAAR di Bari ad Ipazia di Alessandria, giudicata (testuali parole dell'antipapa Carcano) una "credente neoplatonica irrazionale", così irrazionale da essere annoverata dai suoi contemporanei fra i più grandi matematici, fisici ed astronomi del suo tempo, e che, grazie alla misoginia della Chiesa, fu l'ultima donna matematico per oltre un millennio.

giovedì 25 marzo 2010

Risposta a Fabio Milito Pagliara - 2

Ho accettato di pubblicare anche un secondo commento (cliccare sul titolo di questo post per visualizzarlo) dell'ineffabile coordinatore del circolo UAAR di Salerno, relativo al post "Il perché di questo blog", dato che - come il precedente - è pienamente rappresentativo dell'aria viziata che si respira all'UAAR, e mi fornisce l'occasione per chiarire meglio il mio pensiero.

Fabio mi chiede: "Come fai a decidere se la libertà ce l'hai o meno?". E' molto semplice: ce l'ho se posso esprimere liberamente il mio pensiero. Se vengo cacciato da un'associazione per aver esercitato questo diritto fondamentale di ogni essere umano, allora vuol dire che in quell'associazione tale libertà non esiste.

Fabio, abilissimo rovesciatore di frittate, mi chiede se sia "lecito avere opinioni diverse". Certo che è lecito, ma il problema è che io sono stato cacciato dal'UAAR proprio per aver espresso opinioni diverse da quelle della dirigenza nazionale e del suo fedelissimo gregge, mentre lui, che non ho mai trovato in disaccordo con le posizioni dei capi, continua - guarda caso - ad esserne socio.

Anch'io mi sono trovato talvolta d'accordo con le posizioni e le iniziative dei dirigenti nazionali UAAR, ma mi è stata negata la libertà di essere in disaccordo, cominciando col mettermi in stato di moderazione sulla lista dei coordinatori di circolo - con argomenti pretestuosi, senza che io avessi violato il manifesto della lista stessa - e finendo con l'espellermi.

Fabio può anche affermare di non essere un pecora del gregge perché la sua costante adesione alle posizioni dei capi è sentita e spontanea, perché - per una felicissima ancorché casuale combinazione di fattori - tutto ciò che viene detto e deciso dal Comitato Centrale (mannaggia, mi è scappato di nuovo!) coincide con il suo punto di vista e le sue idee. Non escludo che ciò sia possibile, ma è certamente assai improbabile alla luce di una serie di eventi sconcertanti:

1) pessima gestione della crisi verificatasi dopo la diffusione, sulla lista dei coordinatori di circolo, delle critiche mosse da Valentina Bilancioni (ex coordinatrice del circolo di Rimini) alla dirigente nazionale Adele Orioli, con immediata criminalizzazione di Valentina e sue conseguenti dimissioni dall'UAAR, anziché cercare di trovare una soluzione non conflittuale;

2) linciaggio morale, sulla lista dei coordinatori di circolo (che sarà definita d'ora in poi "lista circoli") e la lista aperta a tutti i soci ("lista uaar"), di Francesco Paoletti, all'epoca membro del Comitato di Coordinamento e coordinatore del circolo di Roma, con un processo in stile staliniano basato su illazioni e sospetti (fondati soprattutto sul fatto di essere il compagno di Valentina), accuse ridicole (come quella di non aver attaccato i quadri nella nuova sede nazionale, ed altre idiozie dello stesso tenore), su delazioni (come il resoconto del coordinatore di Cagliari, non comprovato da riscontri oggettivi, di una telefonata contro Adele che lui afferma di aver ricevuto da Valentina e Francesco, senza tener conto del fatto che Francesco è in grado di dimostrare di essersi trovato, quel giorno, a 400 km di distanza dalla sua Valentina), ed il solito sostegno della "guardia imperiale", linciaggio conclusosi con le dimissioni di Francesco da entrambi i suoi incarichi;

3) dimissioni dai rispettivi incarichi dei componenti del gruppo direttivo del circolo di Roma, conseguenti alle dimissioni di Francesco Paoletti, che hanno praticamente "decapitato" uno dei più numerosi circoli d'Italia;

4) linciaggio morale sulle solite liste, basato su motivi così futili che mi vergogno a riferirli, di Giacomo Grippa, coordinatore regionale della Puglia e coordinatore del circolo di Lecce, con conseguenti sue dimissioni da quest'ultimo incarico (poi rientrate per la sua unanime riconferma da parte dei soci leccesi);

5) linciaggio morale contro il sottoscritto per aver preso le difese di Paoletti e di Grippa sulle liste di cui sopra, e per essermi battuto per il rispetto della decisione unanime dei soci baresi di intitolare il circolo UAAR di Bari ad Ipazia di Alessandria;

6) immotivata messa in stato di moderazione del sottoscritto, prima sulla lista circoli, poi sulla lista uaar (su questi provvedimenti avrò modo di tornare in seguito);

7) serie di ricorsi ai probi(?)viri contro di me, Paoletti e Grippa;

8) espulsione del sottoscritto e di Grippa dall'UAAR, guarda caso in vista del congresso nazionale, nel quale la dirigenza nazionale vuole limitare al massimo la presenza di oppositori.

Tutto questo non può non far nascere il sospetto che ci sia del marcio in Danimarca, e se, nonostante questa lunga serie di orrori, persone come Fabio continuano ad essere sempre e regolarmente d'accordo con il Comitato Centrale (ma allora è un vizio!), si può ragionevolmente pensare che siano persone libere?

Risposta a Fabio Milito Pagliara

Pubblico volentieri il commento (cliccare sul titolo di questo post per visualizzarlo) al post "Ipazia all'UAAR?" del coordinatore del circolo UAAR di Salerno, Fabio Milito Pagliara, dato che egli è uno dei componenti della "guardia imperiale" da me menzionata, ed altrettanto volentieri gli rispondo.

Caro Fabio, proprio il fatto che Ipazia possa essere "commemorata" dall'UAAR, ma che non la si ritenga degna dell'intitolazione di un circolo, conferma la fondatezza delle mie critiche. Riducendo all'osso le argomentazioni presentate dall'antipapa Carcano I, Ipazia non sarebbe degna di tale onore PERCHE' NON ERA DICHIARATAMENTE ATEA, in quanto pagana (io credo che in realtà fosse atea, ma a quell'epoca era già pericoloso dichiararsi pagani, figuriamoci atei). Il corollario di una così brillante argomentazione è che neanche Giordano Bruno sarebbe degno dell'intitolazione di un circolo UAAR, visto che era eretico ma non ateo.

Pertanto l'antichiesa UAAR, esattamente come la sua antagonista Cattolica Romana, considera "eretici" tutti coloro che non accettano i suoi dogmi, come quello dell'incredulità, configurandosi così non come associazione che promuove il libero pensiero ed il diritto di professare qualunque religione o non professarne alcuna (come si evince dal suo Statuto e dalle sue Tesi), ma come una setta che tende ad escludere chi non si adegua al pensiero unico dominante (che è quello dei dirigenti nazionali di turno).

Se si considera che persino i credenti di orientamento laicista potrebbero iscriversi all’UAAR (come le impone il suo immeritato status di Associazione di Promozione Sociale), il paradosso è evidente.

Quando mi iscrissi all’UAAR, ero convinto di entrare in un’associazione che si batteva per la creazione di una società ed uno Stato basati sui principi della laicità, non in una chiesa atea, con i suoi eretici, l’Indice dei libri (e dei blog) proibiti, il voto di obbedienza alle gerarchie di fatto imposto ai suoi soci, e via dicendo.

Quanto alla “opportunità generale di intitolare i circoli”, le motivazioni addotte contro la delibera unanime del circolo di Bari erano assolutamente inconsistenti: si parlava di violazioni statutarie (mentre nello Statuto non esiste alcun divieto di intitolazione dei circoli, né alcuna norma definitoria che stabilisca in modo univoco come debbano chiamarsi; lo Statuto si limita a stabilire che i circoli “prendono il nome dal capoluogo provinciale”, e infatti esistevano già altri circoli dotati di intitolazione), di rischio di confusione (impossibile, dato che l’intitolazione è solo un’aggiunta al nome ufficiale, e che l’acronimo “UAAR” avrebbe continuato a campeggiare in tutto il suo – assai offuscato, ahivoi – splendore), di rischio di intitolazione a personaggi politici che avrebbero violato il principio statutario di apartiticità (ma in quel caso il CC avrebbe avuto fondati motivi per intervenire d’autorità), e mi fermo qui per non infierire più del necessario. Ciò che appare evidente, di fronte ad una così ottusa opposizione ad un’iniziativa che aveva entusiasmato i soci del circolo, e che ci ha permesso di guadagnarci l’amicizia e la stima di Adriano Petta, autore – con lo scomparso Antonino Colavito – dello splendido e ben documentato romanzo storico “Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo” (La Lepre Edizioni), che ha tenuto a Bari una bella conferenza – da noi organizzata – il 4 dicembre 2009, ciò che appare evidente, dicevo, è l’atmosfera sempre più burocratica ed asfittica che si respira nell’UAAR, contraria ad ogni iniziativa che esca dai rigidi binari imposti dall’attuale dirigenza e dal suo gregge. I messaggi inviati alla lista dei coordinatori di circolo da costoro erano espressione di una mentalità da aridi burocrati, da acefali funzionari di partito.

Io credevo che l’UAAR, con i suoi grandi Presidenti Onorari, fosse un’associazione capace di formulare ed elaborare elevati contenuti culturali, un luogo dove fosse possibile “volare alto”, non una specie di apparato ecclesiastico e militare dove la creatività dei soci viene sistematicamente scoraggiata e mortificata. Solo i mediocri possono sentirsi a loro agio in un’associazione del genere. Da quando ne sono stato espulso, mi è passato quel senso di soffocamento e di oppressione che mi affliggeva da molti mesi, ed il mio unico rammarico è di non essermene andato di mia iniziativa sbattendo la porta, ma il senso di responsabilità verso i soci del circolo barese che mi avevano da poco riconfermato nella carica di coordinatore mi ha impedito di farlo.

martedì 23 marzo 2010

Ipazia all'UAAR?

Il 25 marzo, nell'ambito della rassegna culturale "Gli incontri del giovedì", presso la sede nazionale dell'UAAR a Roma, si terrà un incontro con Federica Turriziani Colonna (redattrice de "L'Ateo" e traduttrice del libro "Ipazia. Donna colta e bellissima fatta a pezzi dal clero", di John Toland) dal titolo: "La vita di Ipazia e la sua ricostruzione nei secoli".

Mi sembra coerente, no? Dopo essersi opposti in tutti i modi all'intitolazione del circolo di Bari ad Ipazia, con Carcano che sosteneva l'impossibilità di intitolare un circolo UAAR ad una "credente neoplatonica irrazionale" (testuali parole sue, comprovabili dallo storico delle mail inviate alla lista dei coordinatori di circolo), ecco che ora, con incredibile faccia di bronzo, organizzano una conferenza su di lei, confermando il sospetto che Giacomo Grippa espresse all'epoca delle polemiche sull'intitolazione: la loro opposizione era dovuta al fatto che noi soci baresi gli avevamo soffiato l'idea, che se non avessimo intrapreso la nostra iniziativa l'UAAR nazionale avrebbe indetto celebrazioni in onore di Ipazia e promosso una campagna per la distribuzione del film "Agora" in Italia. Ma perche' non l'hanno fatto ugualmente, prima dell'iniziativa qui segnalata? E' ovvio: perche' l'idea non è partita dall'alto!

Adesso che il circolo di Bari è di nuovo "sotto controllo" (anche perché in coma profondo), l'UAAR nazionale può finalmente rendere onore ad una una pensatrice "irrazionale" (da quale pulpito! E' sempre assai squallido, e nel contempo divertente, assistere allo spettacolo di nani che irridono giganti).

Rimane il fatto, tuttavia, che gli stessi promotori dell'iniziativa di giovedì prossimo, opponendosi all'intitolazione ad Ipazia del circolo barese, l'hanno metaforicamente uccisa un'altra volta...

venerdì 19 marzo 2010

Il perché di questo blog

Superata la soglia fatidica dei 50 anni, dopo aver trascorso tutta la vita - sin dai banchi della scuola elementare - a difendermi da continui tentativi di repressione della mia libertà di pensiero e di espressione, sono giunto all'amara constatazione che la maggior parte delle persone teme la libertà più delle malattie e della morte.

Nonostante i continui appelli alla libertà, e l'improprio utilizzo di questa meravigliosa parola anche per designare forze politiche che ne fanno scempio, debbo constatare, mio malgrado, che siamo in pochissimi a volerla davvero e a difenderla in ogni ambito: nella vita privata, nei rapporti interpersonali, nelle scuole e nelle università, nei luoghi di lavoro, nelle istituzioni, nei partiti, nei sindacati e nelle associazioni.

Ecco, appunto: le associazioni. L'ultima ritorsione per la mia ostinata difesa del fondamentale diritto umano di esprimere liberamente - e civilmente - il proprio pensiero ha preso le forme dell'ennesimo rogo, ancorché acceso da mani apparentemente non clericali: la mia espulsione dall'UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), nella quale rivestivo anche la carica di Coordinatore del Circolo di Bari, Circolo intitolato ad una grande martire del libero pensiero: Ipazia di Alessandria. Anche l'intitolazione del Circolo UAAR di Bari mi è costata una faticosa battaglia ed un duro scontro con la dirigenza nazionale dell'associazione, che si è opposta alla decisione unanime dei soci baresi con motivazioni inconsistenti e sconcertanti, per non dire deliranti.

Gli stessi aggettivi ben si adattano al pronunciamento dei Probi(?) Viri che ha decretato la mia espulsione dall'associazione. Ma di questo avremo modo di parlare in seguito. Quel che più conta, in questo post introduttivo, è spiegare l'interrogativo espresso nel titolo del blog.

La libertà fa paura, e l'abbandono del gregge della comunità religiosa nella quale il caso ci ha fatto nascere non può che alimentare tale paura, perché comporta l'abbandono delle illusorie certezze sulle quali le religioni hanno sempre fondato il loro indiscutibile successo di pubblico (e spesso anche di critica colta). E così gli "apostati", accompagnati da un infondato senso di superiorità e di disprezzo per chi continua a professare la propria religione, escono da un gregge per entrare in un altro.

L'UAAR è una grande associazione, fondata da un grande personaggio (e suo primo segretario): Martino Rizzotti. Dispone di un comitato di Presidenti onorari di tutto rispetto. Ha avviato e condotto in modo egregio numerose ed importanti campagne per la difesa della laicità in un Paese come il nostro, da sempre a rischio di teocrazia. Tuttavia, sotto l'attuale e mediocre dirigenza nazionale, sostenuta da un'altrettanto mediocre dirigenza locale (molti - fortunatamente non tutti - Coordinatori e Referenti provinciali), si sta trasformando inesorabilmente in un gregge. E ciò è inammissibile, proprio da parte di un'associazione che "predica" l'uscita dal gregge dell'appartenenza religiosa.

Questa trasformazione sta subendo, negli ultimi anni, una consistente accelerazione, prodotta con l'arma delle epurazioni condotte nel più autentico stile staliniano: processi sommari basati su sospetti e delazioni (che vengono incoraggiate anziché sanzionate), oltre che su interpretazioni ed applicazioni assai arbitrarie dello statuto e dei regolamenti associativi (a "fisarmonica", cioè restrittive o estensive a seconda della convenienza).

Quando qualcuno si rifiuta di aderire al pensiero unico dominante, viene prima tentata la strada della persuasione, poi si passa agli attacchi personali sulle mailing list da parte di alcuni dirigenti nazionali, subito dopo si scatena - sempre sulle mailing list - il linciaggio morale da parte di una decina fra Coordinatori/Referenti provinciali e semplici soci (la "guardia imperiale", che sembra molto più numerosa perché interviene spesso mentre la maggioranza assiste in silenzio), con periodiche spruzzate di benzina da parte di membri del Comitato Centrale - pardon, mi è scappato, volevo dire Comitato di Coordinamento - quando il fuoco tende ad affievolirsi, e a quel punto, se il "dissidente" è un Coordinatore di Circolo, cominciano a partire gli attacchi dall'interno del Circolo stesso (soci mediocri e frustrati che vedono nel contrasto in atto l'occasione per emergere dall'anonimato ed allearsi con i vertici associativi, a loro volta pronti ad accoglierli a braccia aperte). Dato che il meccanismo adottato è molto simile al mobbing, il fronte dell'opposizione interna al Circolo si allarga, come accade anche nei luoghi di lavoro quando il capo lancia segnali ostili nei confronti di un dipendente (e, in circostanze del genere, la natura umana tende a rivelare i suoi aspetti più miserabili).

Se, nonostante tutto, il "dissidente" non rinuncia - maledetto testardo! - ad esercitare il proprio diritto - fondamentale - alla libera espressione del proprio pensiero, il passaggio successivo è il deferimento ai Probi(?)Viri; questi "viri", lungi dall'essere probi, si rivelano pregiudizialmente schierati con la dirigenza, ed eseguono sentenze già scritte prima ancora che il "processo" abbia inizio.

L'espulsione del socio "dissidente" è pertanto scontata, come è successo di recente a me e, proprio ieri (18 marzo 2010), anche al Coordinatore del Circolo UAAR di Lecce e Coordinatore Regionale della Puglia: Giacomo Grippa, un uomo davvero probo che all'UAAR ha dedicato molti anni di duro e costante impegno, e che all'UAAR ha donato tanti successi e tanta visibilità.

E, giunti a questo punto, ci ricongiungiamo con il titolo del post: il perché di questo blog.

Constatato che:

1) sotto l'attuale dirigenza nazionale, l'UAAR è ormai specularmente identica alla Chiesa della quale dovrebbe essere avversaria;

2) l'afferenza all'UAAR comporta, nelle attuali condizioni, l'appartenenza ad un gregge belante, e chi non accetta la condizione di "pecora" viene espulso;

3) molti (troppi!) soci accettano passivamente (o reprimendo il loro dissenso e masticando amaro) di far parte del gregge, sostenendo apertamente la dirigenza nazionale o limitandosi ad assistere in silenzio ai linciaggi ed alle espulsioni (spesso con l'illusoria speranza che al prossimo congresso nazionale qualcosa possa cambiare, ma sarà difficile se i "dissidenti" continuano ad essere espulsi o si vedono costretti a dimettersi);

4) un'associazione che dovrebbe incoraggiare il libero pensiero fa di tutto per reprimerlo, e per mortificare la creatività dei suoi soci (opponendosi, ad esempio, all'intitolazione del circolo di Bari alla grandissima Ipazia di Alessandria);

5) in conclusione (e riallacciandoci alle premesse), gli esseri umani tendono - per la loro natura incline al conformismo, che svolge tuttavia un ruolo importante nei processi evolutivi, favorendo l'adattamento all'ambiente sociale - a farsi pecore in qualsiasi comunità della quale si trovino a far parte, isolando e perseguitando coloro che difendono la propria e altrui libertà di pensiero, o assistendo passivamente alla loro persecuzione,

viene da chiedersi se la morte di grandi e meravigliosi personaggi come Ipazia di Alessandria e Giordano Bruno abbia avuto un senso. Nonostante gli omaggi loro tributati ed i monumenti eretti in loro onore, nonostante l'ammirazione che tanti uomini e donne dichiarano di provare per loro, gli stessi uomini e le stesse donne finiscono spesso col comportarsi - in senso metaforico, s'intende - come i monaci parabolani che hanno straziato le delicate carni di Ipazia e gli inquisitori che hanno condannato al rogo Giordano Bruno (senza neppure concedergli lo strangolamento prima di appiccare il fuoco, cosa che all'epoca non si negava a nessun altro condannato).

La libertà - quella vera, quella interiore, quella che nessuno ti può togliere neanche rinchiudendoti in una minuscola cella - suscita paura e invidia in chi non ce l'ha. E, come il coraggio per Don Abbondio, se uno non ce l'ha non se la può dare. Sembra di assistere al capolavoro di Buñuel "Il fantasma della libertà", dove si vedono patrioti che cadono fucilati gridando "Abbasso la libertà!", e la polizia che tenta di disperdere la folla di manifestanti che, urlando la stessa frase, cercano di entrare nelle gabbie degli animali allo zoo.

A cosa è servita l'orribile morte di Ipazia e Giordano Bruno? Forse solo a fornire un esempio ed un incoraggiamento ai pochissimi uomini e donne liberi presenti sul nostro pianeta, ma le moltitudini continueranno sempre a fare ciò che hanno fatto dalla notte dei tempi: seguire il gregge e belare. O, almeno, è ciò che accadrà fino al prossimo salto evolutivo che porterà alla comparsa di una nuova specie umana, ma dubito che la selezione naturale possa favorire i pochi individui portatori del carattere "libertà interiore"...