lunedì 19 aprile 2010

Fumata bianca al circolo UAAR di Bari


Pochi giorni fa (venerdì 16 aprile 2010) il circolo UAAR di Bari "Ipazia di Alessandria" (che qualcuno avrebbe intitolato volentieri a "Mazinga Zeta", tanto per lui sarebbe stato uguale) si è riunito in assemblea per eleggere il nuovo coordinatore, essendo il posto vacante dopo la mia espulsione dalla CDA (Chiesa Degli Atei, detta anche UAAR).

La scelta dei soci presenti è caduta su Rafael La Perna, che è stato tra i protagonisti dell'attacco sferratomi dall'interno del circolo contemporaneamente all'offensiva lanciata contro il sottoscritto dalla dirigenza nazionale, con una manovra a tenaglia che si è conclusa con la scomunica dell'eretico di turno. Rafael, infatti, è tra i firmatari della mozione di sfiducia che fu inviata alla coordinatrice dei circoli , Anna Bucci, poche settimane dopo la mia rielezione a coordinatore per il 2010. Ma di questo avremo modo di parlare nel corso della ricostruzione a puntate della telenovela.

Conoscendolo, credo proprio che Rafael sia più adatto di me a rappresentare i soci - superstiti - del disastrato circolo di Bari, per lo meno la componente che ha deciso di dare una mano all'oligarchia al potere nella CDA nella condanna al rogo di un coordinatore che, pur avendo reso vitale un circolo prima dormiente ed organizzato molte ed importanti iniziative nel corso del 2009, si era reso colpevole dei peccati mortali di lesa maestà, eresia, stregoneria e disobbedienza agli ordini dei superiori gerarchici.

Auguri, Rafael!

domenica 11 aprile 2010

Le ragioni di un'espulsione - 2


Riprendiamo la narrazione dell'antefatto.

Dalla lettura delle mail che si succedono sulla "lista circoli", apprendo che sull'argomento "intitolazione dei circoli" si è già tenuta - poco tempo prima - una discussione sulla "lista uaar" (accessibile a tutti i soci che abbiano effettuato la procedura di iscrizione), per ragioni che ignoro, essendo io iscritto solo alla prima. In quella sede, la discussione è stata rinviata all'imminente assemblea annuale dei coordinatori di circolo, fissata per i primi di novembre a Rimini (come da tradizione). Mi viene più volte rimproverato, da alcuni partecipanti al dibattito da me suscitato, di aver effettuato un colpo di mano, anticipando una decisione senza aver atteso il pronunciamento dell'assemblea, e a nulla serve ricordare ogni volta che non potevo essere al corrente della suddetta discussione non essendo iscritto alla lista uaar, mentre sulla lista circoli l'argomento non era stato toccato. Ma, com'è noto, a lavare la testa al ciuccio si perde il tempo, l'acqua e il sapone...

A Rimini il dibattito è acceso e serrato. Io ripropongo le ragioni a sostegno della decisione unanime del circolo di Bari e faccio presente che un eventuale rifiuto potrebbe indurre diversi soci a dimettersi, a cominciare dal sottoscritto. Preciso che non si tratta di un discorso ricattatorio (anche se alcuni dei presenti lo recepiscono come tale), ma solo della doverosa segnalazione di un malessere che da tempo serpeggia tra i soci del circolo da me coordinato, dovuto anche ai miei resoconti sui fatti accaduti nei mesi precedenti (sinteticamente elencati nel post "Risposta a Fabio Milito Pagliara - 2"). Per quanto mi riguarda, faccio presente che avrei grosse difficoltà a continuare a far parte di un'associazione nella quale una splendida proposta come la nostra dovesse venir respinta con aride motivazioni burocratiche (delle quali, inoltre, non si coglie la ratio) e con il mancato rilascio di ridicole patenti di laicità a millenni di distanza (come ha giustamente rilevato, con l'acume che lo contraddistingue, il caro Giacomo Grippa, l'altro eretico espulso dall'UAAR in quanto - anche lui - libero pensatore).

Il dibattito viene chiuso da un intervento del segretario, Raffaele Carcano, che propone - questa volta saggiamente - una moratoria: i circoli già in possesso di un'intitolazione (Roma e Lecce già da tempo, ed ora anche Bari) potranno conservarla fino al prossimo congresso nazionale, previsto per l'autunno del 2010, mentre eventuali nuove richieste verranno respinte fino ad allora. Poi, a seconda delle modifiche statutarie adottate dal congresso, tutti i circoli potranno scegliersi un'intitolazione o, in caso contrario, spariranno anche quelle già adottate.

E' chiaro che, con un Comitato Centrale (!) interamente e convintamente orientato ad evitarle, anche le tre intitolazioni in vigore avrebbero avuto i mesi contati. Comunque, per quanto effimero, il risultato ottenuto è una vittoria, e, appena rientrato a Bari, lo comunico ai soci del circolo con un messaggio intitolato "CE L'ABBIAMO FATTA (PER ORA)!".

In questa mail riporto un resoconto dell'assemblea di Rimini, completa di retroscena (come la solidarietà e l'affinità di vedute manifestatemi da alcuni fra coordinatori e referenti provinciali) e di giudizi sugli interventi idioti di alcune delle solite pecore che debbono seguire a tutti i costi i loro capi, anche quando la loro fedeltà li porta ben oltre i limiti imposti dalla decenza e dalla salvaguardia della dignità personale. Il tono è ironico e colloquiale, nello stile con il quale mi sono sempre rivolto ai soci del circolo, grazie anche alla splendida atmosfera - assolutamente informale - di collaborazione ed amicizia che ha sempre caratterizzato i nostri rapporti, tanto da vivere la partecipazione alle riunioni ed alle iniziative con il senso di appartenenza ad una "grande famiglia" (espressione usata da diversi soci entusiasti). C'è stato qualche piccolo incidente di percorso in precedenza, ma credo sia fisiologico in un circolo che, nel frattempo, è cresciuto fino ad arrivare a 66 unità.

L'unico momento di tensione degno di nota, peraltro relativa, si è verificato nell'aprile del 2009, pochi giorni prima del nostro Darwin Day. Avevamo deciso, come molti altri circoli, di promuovere una raccolta di firme per una petizione da presentare al Sindaco di Bari relativa all'intitolazione di una strada a Charles Robert Darwin. La raccolta di firme sarebbe stata annunciata proprio al Darwin Day, anche perché il periodo era propizio: ci trovavamo infatti in piena campagna elettorale per le elezioni amministrative, quando generalmente i candidati sindaci sono più propensi a rispondere ad iniziative del genere. Subito dopo la fine dell'ultima riunione prima dell'evento, tenutasi una settimana prima di esso, un socio, E.R., mi ha però ricordato che a Bari esiste una strada intitolata al famigerato Nicola Pende, l'endocrinologo ed accademico pugliese autore e primo firmatario del "Manifesto della razza" del 1938, nel quale si afferma - con motivazioni pseudoscientifiche - che gli Ebrei non appartengono alla razza italiana (!), fornendo così al regime fascista il pretesto per emanare, pochi mesi dopo, le leggi razziali, una vergogna per la quale le scuse degli Italiani agli Ebrei ed al mondo intero non saranno mai abbastanza; infatti, la persecuzione che ne scaturì culminò con le deportazioni dei cittadini italiani di religione ebraica nei campi di sterminio nazisti. Io ho colto al volo il suggerimento implicito nell'informazione del socio: si presentava una grande occasione per chiedere non solo l'intitolazione di una strada barese a Darwin, ma anche per la sostituzione del nome di Pende con quello di Darwin, di uno scienziato vile, infame e fasullo con un grande ed autentico scienziato. Nei giorni seguenti ho inviato una mail ai soci per informarli della novità, ma con mia grande sorpresa - ed indignazione - diversi di loro si sono opposti con motivazioni assurde, inconsistenti ed incomprensibili. Io credo che il motivo di fondo fosse il timore di creare problemi all'uno o all'altro candidato alla carica di Sindaco, preoccupazione che era però in piena violazione dello statuto dell'UAAR che definisce l'associazione "apartitica". Alcuni di coloro che inizialmente si erano dichiarati a favore, hanno ritirato la loro adesione nel vedere svariati soci opporsi con forza all'iniziativa. Ciononostante, fra coloro che avevano risposto alla consultazione telematica il numero dei favorevoli è risultato identico a quello dei contrari, e grazie al mio voto favorevole la maggioranza - per quanto risicata - si è espressa positivamente. Per tener conto di ciò, ho deciso di presentare due petizioni distinte, in modo che tutti potessero firmare a favore di Darwin senza per questo dover necessariamente esprimersi anche contro via Pende, ma la delusione è stata atroce, e mi ha costretto a ridimensionare l'idea che mi ero fatto della statura morale ed intellettuale di diversi soci.

Subito dopo l'invio del mio resoconto sull'assemblea di Rimini, tre soci di Bari inviano una mail agli altri soci locali ed all'antipapa Carcano - primo della lista dei destinatari - dissociandosi "dai toni e dalle parole usate" dal sottoscritto. Va evidenziato che: i) due di essi (D.C. e N.T.) furono fra i primi ad opporsi all'iniziativa per il cambio di denominazione di via Pende, e dal Darwin Day (tenutosi parecchi mesi prima) avevano smesso di essere soci attivi del circolo; ii) il terzo (A.D.), iscrittosi all'UAAR proprio in occasione del Darwin Day, aveva manifestato sin dall'inizio un atteggiamento ipercritico ed immotivatamente aggressivo nei miei confronti; iii) tutti e tre, essendo soci inattivi, non si erano espressi né a favore né contro l'intitolazione del circolo ad Ipazia, né avevano lanciato segnali di dissenso quando io informavo i soci dei miei contrasti con i vertici UAAR.

La mia risposta è immediata ed indignata, di fronte a quella che non esito a definire una porcata: quelle mail sono scritte con evidente malafede con l'intento di mettermi in difficoltà in un momento di per sé già molto delicato, e di cercare di stabilire un'alleanza con una dirigenza nazionale a me ostile per i problemi che, nello svolgimento del mio incarico, le avevo creato. Non ho problemi a riconoscere ad ogni socio il diritto di rivolgersi al segretario, se il comportamento del coordinatore gli appare scorretto, ma i suddetti gentiluomini non avevano neppure chiesto un chiarimento interno (che non avrei avuto difficoltà a concedergli), prima di scomodare il "grande capo". Il quale, a sua volta, non perde l'occasione che gli viene offerta e prende subito le parti dei contestatori, sia con le mail spedite ai soci baresi, sia con quelle inviate sulle liste nazionali, dove si scatena un nuovo linciaggio morale contro di me.

Vale la pena ricordare che il socio barese D.C., in una mail interna al circolo nell'ambito del dibattito scaturito dalla brillante iniziativa sua e dei suoi due degni compari, scrive - senza vergognarsene neanche un po' - la seguente frase: "Sulla questione di intitolare il circolo ad Ipazia non ho proferito parola perché è un argomento che non mi entusiasma molto ed anche perché in generale sono concorde, ma non particolarmente interessato: per quanto mi riguarda il circolo potrebbe essere intitolato anche a Mazinga-Zeta!".

Ogni commento è superfluo. Il bello di avversari del genere è che non c'è alcun bisogno di screditarli: provvedono a farlo da soli, ed in modo assai più efficace. E' sufficiente lasciarli agire e parlare, al resto provvederà la loro stessa natura.

E sono persone di questo livello che la dirigenza nazionale dell'UAAR sceglie come alleate nel tentativo di mettere in difficoltà coordinatori "scomodi". Evidentemente intelligenza, creatività e cultura non sono qualità ritenute importanti dai membri del CC; ciò che conta davvero è la fedeltà ai gerarchi, e, come dice Silvano Vergoli (anch'egli del CC), "cantare nel coro in armonia con le altre voci". Mi dispiace, Silvano, ma il ruolo di voce bianca non mi è mai stato congeniale.

"E agli atei 80 mila euro"


E' questo il titolo di un trafiletto pubblicato sul numero 14 (8 aprile 2010) de "L'Espresso", a pag. 26. La notizia riportata è che quest'anno l'UAAR, per la prima volta, potrà incassare i contributi del 5 per mille, per un ammontare di "circa 80 mila euro provenienti dalle dichiarazioni espresse da 1.152 contribuenti".

L'UAAR può usufruire del 5 per mille essendo un'Associazione di Promozione Sociale (APS), e come tale, ai sensi della legge 383/2000, non deve avere finalità di lucro (e fin qui ci siamo) e deve svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o terzi nel pieno rispetto della dignità e della libertà degli associati.

L'UAAR risponde a quest'ultimo requisito? I frequentatori di questo blog potranno valutarlo da soli, proseguendo l'istruttiva lettura della cronaca della mia espulsione.

lunedì 5 aprile 2010

Le ragioni di un'espulsione - 1

E' giunto il momento di spiegare in dettaglio ai miei lettori (to the happy few) le ragioni per le quali considero la mia espulsione dall'UAAR un atto di persecuzione contro un eretico, l'epurazione di un dissidente degna dell'URSS ai tempi di Stalin.

E' un atto dovuto, sia per argomentare le mie critiche, sia per rispondere in modo appropriato ai dirigenti UAAR ed ai loro devoti sostenitori che mi accusano di aver finora volutamente omesso le motivazioni alla base del pronunciamento dei viri-tutt'altro-che-probi.

Cari pastori e pecore dell'UAAR, visto che insistete tanto, ecco le prove di quanto sostengo. Quelle che conoscete benissimo, ma fingete di ignorare. Sono curioso di sapere, ad esposizione conclusa, come farete a sostenere ancora le vostre effimere ragioni.

ANTEFATTO

Lo scorso autunno, su proposta di un giovane socio del circolo provinciale di Bari dell'UAAR, M.L., da me subito accolta e rilanciata, i soci del circolo, dopo una consultazione telematica ed una riunione, decidono all'unanimità di intitolare il circolo stesso ad Ipazia di Alessandria. Il giorno 21 ottobre 2009 invio alla lista dei coordinatori di circolo ("lista circoli") una mail nella quale comunico la grande notizia, con l'ingenua convinzione - subito rivelatasi infondata - che essa sarebbe stata accolta con entusiasmo e che avrebbe suscitato una valanga di congratulazioni ed auguri.

Con mia profonda amarezza e delusione, comincio subito a ricevere una serie di risposte - sia di semplici soci, sia di membri del Comitato Centrale (mannaggia, sbaglio sempre: volevo dire Comitato di Coordinamento, d'ora in poi "CC") dell'UAAR - che oppongono all'iniziativa barese una serie di obiezioni e di perplessità tali da far cadere le braccia anche alla persona più paziente e comprensiva del mondo.

Ciò che colpisce, più d'ogni altra cosa, è lo stridente contrasto fra la grandezza del personaggio di Ipazia e l'infimo livello delle argomentazioni di tipo partitico-burocratico che vengono opposte alla nostra iniziativa. Ma, dato che non c'è limite al peggio, il gregge dell'UAAR passa rapidamente alla fase due dell'operazione: un volgare tentativo di ridimensionamento della figura di Ipazia, nel tentativo di convincermi che, in fondo, non era poi questo gran personaggio che ci vorrebbero far credere. A tale ridimensionamento fa da corollario il giudizio svalutativo che molti esprimono sull'iniziativa in se stessa, che viene considerata ininfluente e masturbatoria in confronto alle "grandi battaglie" che l'UAAR dovrebbe sostenere.

La mia indignazione raggiunge livelli inimmaginabili, e non solo per l'ignoranza dimostrata dai detrattori di Ipazia, che non si sono neppure preoccupati di documentarsi prima di parlare, ma, più in generale, per la grettezza, l'aridità e l'infimo livello intellettuale dimostrati da persone che appaiono più preoccupate di citare le virgole dello statuto e di non contrariare i membri del CC piuttosto che di rendere ad Ipazia - grande martire del libero pensiero ed antesignana della moderna scienza sperimentale - il riconoscimento e la gratitudine che le spettano.

Credo che qui si renda opportuna una momentanea interruzione della narrazione per citare lo splendido "Dopo Nietzsche" di Giorgio Colli (Adelphi Edizioni). A pagina 65 si legge: "Nel cinismo c'è del veleno, dell'impotenza, della vendetta. (...) Il cinismo ritorna ciclicamente, in occasione di crisi profonde, e con manifestazioni analoghe: un razionalismo dozzinale, plebeo, è il suo strumento, una spudoratezza esibizionistica è la sua forma, lo scherno per il passato e per i miti, la rottura delle tradizioni sono i suoi temi. (...) Il cinismo dà un'illusione di superiorità ai frustrati, e la sfrontatezza 'canina' deve far colpo sul pubblico". A pagina 67 troviamo, invece, le seguenti frasi: "Il contrario del cinismo è la venerazione. (...) Di fronte a ogni grandezza si risveglia in certi individui un senso di riconoscenza, si è pronti a ricevere e si è grati di ricevere. Chi non ha questa natura rifiuta d'istinto ciò che è grande, lo allontana da sé, ne spia i punti deboli. (...) Il discorso sulla venerazione è esoterico, e non a torto Nietzsche afferma che le nature nobili, le quali non sanno vivere senza venerazione, sono rare".

Non esiste miglior commento di queste parole al triste spettacolo offerto dalla maggioranza degli intervenuti sulla lista circoli dopo il mio annuncio. In particolare, credo che la definizione data da Carcano di Ipazia come "credente neoplatonica irrazionale" costituisca il miglior esempio di quel "razionalismo dozzinale e plebeo" di cui parla Giorgio Colli.

E, con queste considerazioni, possiamo degnamente concludere la prima parte del presente resoconto.

venerdì 2 aprile 2010

Disobbedienza

Questa volta non parlerò dell'UAAR, ma del Papa e della Chiesa (ai quali, comunque, l'UAAR ed il suo Segretario si stanno conformando in modo impressionante). In particolare, parlerò di una recente predica del Pontefice nella quale ha invitato i cristiani a disobbedire alle leggi dello Stato quando queste sono considerate "ingiuste" dalla Chiesa, come "l'uccisione di bambini innocenti non ancora nati".

Sarebbe contraddittorio, da parte mia, negare al Papa ed ai suoi seguaci il diritto di esprimere liberamente il loro pensiero, ma il discorso di Ratzinger va ben oltre tale espressione. Si tratta di un'evidente esortazione, da parte di un Capo di Stato, a violare le leggi di altri Stati. Ciò è particolarmente grave nei confronti dello Stato italiano, poiché costituisce una violazione di quel Concordato dal quale derivano immensi privilegi e vertiginose elargizioni di denaro pubblico a favore del Vaticano. Inoltre, se un comportamento del genere viene considerato legittimo, si legittimano di conseguenza anche i rappresentanti di altre religioni ad invitare i fedeli a violare le leggi statali.

Molti laicisti affermano pubblicamente di non nutrire risentimento nei confronti della Chiesa e delle esternazioni dei suoi rappresentanti, ma di essere piuttosto indignati per il comportamento di una classe politica che è sempre pronta a genuflettersi dinanzi ai gerarchi d'Oltretevere. Non sono d'accordo. Il Papa dovrebbe rivolgersi alle coscienze dei fedeli, esortandoli a non compiere - in prima persona - atti contrari agli insegnamenti della Chiesa. Il Papa ha tutto il diritto di dire: "Ti dichiari cattolico? Allora non devi divorziare, abortire, avere rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, ecc. ecc.". Non ha però il diritto di esortare i cittadini italiani a violare le leggi dello Stato, così come non può cercare di imporre anche ai non cattolici - cristiani protestanti e dissidenti, eterocredenti e non credenti - i suoi divieti, poiché non è in grado di dimostrare scientificamente che: i) Dio esiste; ii) se esiste, è proprio quello di cui parla la Chiesa, e che la Chiesa afferma di rappresentare in terra; iii) se esiste, ed è proprio quello di cui parla la Chiesa, la sua volontà coincide con quei divieti.

C'è molta violenza, molta sopraffazione in questi tentativi di imposizione dei propri precetti, tipici tutte le religioni basate su presunte - ed indimostrabili - verità rivelate. E nessun rispetto per il pensiero degli individui, credenti compresi.

Tutte le persone sensate considerano sbagliata l'uccisione di un essere vivente, anche se spesso è inevitabile (per nutrirsene, o per legittima difesa, o altri motivi), ma i punti di vista cominciano a divergere quando bisogna stabilire, ad esempio, se sia lecito rispettare la volontà dell'essere stesso quando sceglie di porre fine alla sua esistenza e non può farlo autonomamente, o se un ammasso informe di cellule privo di un sistema nervoso possa essere già considerato una persona. La Chiesa, come qualsiasi altro soggetto, dovrebbe rispettare la volontà di chi non si riconosce nei suoi insegnamenti, limitandosi a pretendere l'obbedienza dei suoi seguaci, poiché chi fonda la propria morale su dogmi e presupposti non dimostrabili non può pretendere obbedienza anche da parte di chi non le riconosce alcuna autorità morale. Ed uno Stato degno di questo nome dovrebbe abolire un Concordato che viene sistematicamente violato da una delle parti contraenti.

Non si può pretendere che una Chiesa che ha massacrato Ipazia di Alessandria e bruciato Giordano Bruno (per tacere di tutto il resto) possa sviluppare da sola l'auspicata apertura verso il libero pensiero, ma sarebbe sacro dovere delle istituzioni pubbliche porre un argine ai suoi continui tentativi di sopraffazione. Anche perché, nonostante le tante scuse presentate dai Pontefici per gli errori commessi in passato (nel caso di Galileo hanno impiegato solo tre secoli e mezzo per rendersi conto di aver sbagliato), essi continuano imperterriti a commetterli. Sempre gli stessi.