Pubblico volentieri il commento (cliccare sul titolo di questo post per visualizzarlo) al post "Ipazia all'UAAR?" del coordinatore del circolo UAAR di Salerno, Fabio Milito Pagliara, dato che egli è uno dei componenti della "guardia imperiale" da me menzionata, ed altrettanto volentieri gli rispondo.
Caro Fabio, proprio il fatto che Ipazia possa essere "commemorata" dall'UAAR, ma che non la si ritenga degna dell'intitolazione di un circolo, conferma la fondatezza delle mie critiche. Riducendo all'osso le argomentazioni presentate dall'antipapa Carcano I, Ipazia non sarebbe degna di tale onore PERCHE' NON ERA DICHIARATAMENTE ATEA, in quanto pagana (io credo che in realtà fosse atea, ma a quell'epoca era già pericoloso dichiararsi pagani, figuriamoci atei). Il corollario di una così brillante argomentazione è che neanche Giordano Bruno sarebbe degno dell'intitolazione di un circolo UAAR, visto che era eretico ma non ateo.
Pertanto l'antichiesa UAAR, esattamente come la sua antagonista Cattolica Romana, considera "eretici" tutti coloro che non accettano i suoi dogmi, come quello dell'incredulità, configurandosi così non come associazione che promuove il libero pensiero ed il diritto di professare qualunque religione o non professarne alcuna (come si evince dal suo Statuto e dalle sue Tesi), ma come una setta che tende ad escludere chi non si adegua al pensiero unico dominante (che è quello dei dirigenti nazionali di turno).
Se si considera che persino i credenti di orientamento laicista potrebbero iscriversi all’UAAR (come le impone il suo immeritato status di Associazione di Promozione Sociale), il paradosso è evidente.
Quando mi iscrissi all’UAAR, ero convinto di entrare in un’associazione che si batteva per la creazione di una società ed uno Stato basati sui principi della laicità, non in una chiesa atea, con i suoi eretici, l’Indice dei libri (e dei blog) proibiti, il voto di obbedienza alle gerarchie di fatto imposto ai suoi soci, e via dicendo.
Quanto alla “opportunità generale di intitolare i circoli”, le motivazioni addotte contro la delibera unanime del circolo di Bari erano assolutamente inconsistenti: si parlava di violazioni statutarie (mentre nello Statuto non esiste alcun divieto di intitolazione dei circoli, né alcuna norma definitoria che stabilisca in modo univoco come debbano chiamarsi; lo Statuto si limita a stabilire che i circoli “prendono il nome dal capoluogo provinciale”, e infatti esistevano già altri circoli dotati di intitolazione), di rischio di confusione (impossibile, dato che l’intitolazione è solo un’aggiunta al nome ufficiale, e che l’acronimo “UAAR” avrebbe continuato a campeggiare in tutto il suo – assai offuscato, ahivoi – splendore), di rischio di intitolazione a personaggi politici che avrebbero violato il principio statutario di apartiticità (ma in quel caso il CC avrebbe avuto fondati motivi per intervenire d’autorità), e mi fermo qui per non infierire più del necessario. Ciò che appare evidente, di fronte ad una così ottusa opposizione ad un’iniziativa che aveva entusiasmato i soci del circolo, e che ci ha permesso di guadagnarci l’amicizia e la stima di Adriano Petta, autore – con lo scomparso Antonino Colavito – dello splendido e ben documentato romanzo storico “Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo” (La Lepre Edizioni), che ha tenuto a Bari una bella conferenza – da noi organizzata – il 4 dicembre 2009, ciò che appare evidente, dicevo, è l’atmosfera sempre più burocratica ed asfittica che si respira nell’UAAR, contraria ad ogni iniziativa che esca dai rigidi binari imposti dall’attuale dirigenza e dal suo gregge. I messaggi inviati alla lista dei coordinatori di circolo da costoro erano espressione di una mentalità da aridi burocrati, da acefali funzionari di partito.
Io credevo che l’UAAR, con i suoi grandi Presidenti Onorari, fosse un’associazione capace di formulare ed elaborare elevati contenuti culturali, un luogo dove fosse possibile “volare alto”, non una specie di apparato ecclesiastico e militare dove la creatività dei soci viene sistematicamente scoraggiata e mortificata. Solo i mediocri possono sentirsi a loro agio in un’associazione del genere. Da quando ne sono stato espulso, mi è passato quel senso di soffocamento e di oppressione che mi affliggeva da molti mesi, ed il mio unico rammarico è di non essermene andato di mia iniziativa sbattendo la porta, ma il senso di responsabilità verso i soci del circolo barese che mi avevano da poco riconfermato nella carica di coordinatore mi ha impedito di farlo.
Caro Fabio, proprio il fatto che Ipazia possa essere "commemorata" dall'UAAR, ma che non la si ritenga degna dell'intitolazione di un circolo, conferma la fondatezza delle mie critiche. Riducendo all'osso le argomentazioni presentate dall'antipapa Carcano I, Ipazia non sarebbe degna di tale onore PERCHE' NON ERA DICHIARATAMENTE ATEA, in quanto pagana (io credo che in realtà fosse atea, ma a quell'epoca era già pericoloso dichiararsi pagani, figuriamoci atei). Il corollario di una così brillante argomentazione è che neanche Giordano Bruno sarebbe degno dell'intitolazione di un circolo UAAR, visto che era eretico ma non ateo.
Pertanto l'antichiesa UAAR, esattamente come la sua antagonista Cattolica Romana, considera "eretici" tutti coloro che non accettano i suoi dogmi, come quello dell'incredulità, configurandosi così non come associazione che promuove il libero pensiero ed il diritto di professare qualunque religione o non professarne alcuna (come si evince dal suo Statuto e dalle sue Tesi), ma come una setta che tende ad escludere chi non si adegua al pensiero unico dominante (che è quello dei dirigenti nazionali di turno).
Se si considera che persino i credenti di orientamento laicista potrebbero iscriversi all’UAAR (come le impone il suo immeritato status di Associazione di Promozione Sociale), il paradosso è evidente.
Quando mi iscrissi all’UAAR, ero convinto di entrare in un’associazione che si batteva per la creazione di una società ed uno Stato basati sui principi della laicità, non in una chiesa atea, con i suoi eretici, l’Indice dei libri (e dei blog) proibiti, il voto di obbedienza alle gerarchie di fatto imposto ai suoi soci, e via dicendo.
Quanto alla “opportunità generale di intitolare i circoli”, le motivazioni addotte contro la delibera unanime del circolo di Bari erano assolutamente inconsistenti: si parlava di violazioni statutarie (mentre nello Statuto non esiste alcun divieto di intitolazione dei circoli, né alcuna norma definitoria che stabilisca in modo univoco come debbano chiamarsi; lo Statuto si limita a stabilire che i circoli “prendono il nome dal capoluogo provinciale”, e infatti esistevano già altri circoli dotati di intitolazione), di rischio di confusione (impossibile, dato che l’intitolazione è solo un’aggiunta al nome ufficiale, e che l’acronimo “UAAR” avrebbe continuato a campeggiare in tutto il suo – assai offuscato, ahivoi – splendore), di rischio di intitolazione a personaggi politici che avrebbero violato il principio statutario di apartiticità (ma in quel caso il CC avrebbe avuto fondati motivi per intervenire d’autorità), e mi fermo qui per non infierire più del necessario. Ciò che appare evidente, di fronte ad una così ottusa opposizione ad un’iniziativa che aveva entusiasmato i soci del circolo, e che ci ha permesso di guadagnarci l’amicizia e la stima di Adriano Petta, autore – con lo scomparso Antonino Colavito – dello splendido e ben documentato romanzo storico “Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo” (La Lepre Edizioni), che ha tenuto a Bari una bella conferenza – da noi organizzata – il 4 dicembre 2009, ciò che appare evidente, dicevo, è l’atmosfera sempre più burocratica ed asfittica che si respira nell’UAAR, contraria ad ogni iniziativa che esca dai rigidi binari imposti dall’attuale dirigenza e dal suo gregge. I messaggi inviati alla lista dei coordinatori di circolo da costoro erano espressione di una mentalità da aridi burocrati, da acefali funzionari di partito.
Io credevo che l’UAAR, con i suoi grandi Presidenti Onorari, fosse un’associazione capace di formulare ed elaborare elevati contenuti culturali, un luogo dove fosse possibile “volare alto”, non una specie di apparato ecclesiastico e militare dove la creatività dei soci viene sistematicamente scoraggiata e mortificata. Solo i mediocri possono sentirsi a loro agio in un’associazione del genere. Da quando ne sono stato espulso, mi è passato quel senso di soffocamento e di oppressione che mi affliggeva da molti mesi, ed il mio unico rammarico è di non essermene andato di mia iniziativa sbattendo la porta, ma il senso di responsabilità verso i soci del circolo barese che mi avevano da poco riconfermato nella carica di coordinatore mi ha impedito di farlo.
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